IL TRIBUNALE

    Letti  gli atti del proc. n. R.G.P. a carico di Rotondi Patrizia,
  imp. del reato p. e p. dall'art. 20 della legge n. 47/1985;
    Udite le parti;

                          Ritenuto in fatto

    Il   presente   procedimento   ha  subito  piu'  rinvii  a  causa
  dell'astensione   collettiva   dei   difensori  dalle  udienze  che
  (preceduta  da altra indetta per il mese di maggio 1999) si protrae
  ininterrottamente  dal luglio 1999 ed e' destinata a durare - salvo
  proroghe - fino al 10 marzo 2000.
    Lo  stato  di  agitazione,  determinato  dalla  mancata copertura
  integrale   dei   magistrati   di   questo   tribunale  e  comunque
  dall'insufficienza  dell'organico  astrattamente previsto, e' stato
  invocato  dal difensore dell'imputato reiteratamente come legittimo
  motivo di impedimento a partecipare al dibattimento e comunque come
  causa di rinvio del giudizio.
      A seguito di rigetto delle richieste da parte del giudice per i
  motivi  indicati  nelle  ordinanze  dibattimentali  in  atti, ed in
  particolare   per   la   palese   irragionevolezza   della   durata
  dell'astensione   proclamata  (oltre  nove  mesi,  allo  stato)  il
  difensore  ha  ribadito  la  propria volonta' di non partecipare al
  dibattimento e tutti i sostituti immediatamente reperibili nominati
  ai  sensi  dell'art. 97,  comma  4,  del c.p.p. (cfr. elenco) hanno
  dichiarato  anche  essi  di  aderire all'astensione rifiutandosi di
  svolgere   la   funzione   attribuitagli,   nonostante   l'evidente
  prossimita' del termine prescrizionale.
    Si  premette  che  profili  sanzionatori  delle  condotte  tenute
  collettivamente  dagli  appartenenti  al  foro esulano da quanto si
  rileva  nel  presente  provvedimento,  poiche' la configurazione di
  illeciti   disciplinari   o  penali  non  sposta  i  termini  della
  questione,   che   e'   relativa   esclusivamente   agli  strumenti
  processuali   da   adottare  per  consentire  la  celebrazione  del
  giudizio,  prescindendo  da profili di illeceita' del comportamento
  dei difensori.
      Sotto  tale  profilo,  peraltro,  da  un  lato  la stessa Corte
  costituzionale    nella   nota   sent.   n. 171/96   escludeva   la
  configurabilita'   degli  illeciti  amministrativi  previsti  dalla
  legge,  e  dall'altro la giurisprudenza di questo ufficio escludeva
  la  sussistenza  di illeciti penali (ossia della fattispecie di cui
  all'art. 340 del c.p.), disponendo l'archiviazione dei procedimenti
  iniziati  in  fattispecie  pregresse  ed  analoghe,  nelle quali la
  condotta  dei  difensori  non  si  limitava  ad  una  mera adesione
  all'astensione  ma  si  sostanziava  in  un  persistente rifiuto di
  svolgere le funzioni di cui agli artt. 97, comma 4 e 486 del c.p.p.
  a  seguito  di ordinanza del giudice che respingeva la richiesta di
  rinvio per legittimo impedimento.
    Nemmeno,  inoltre, sarebbero ravvisabili illeciti disciplinari ai
  sensi  degli artt. 105 del c.p.p. e 38 della legge n. 36/1934, come
  si  puo' desumere dai verbali delle sedute del 20 luglio 1999 e del
  21  settembre  1999  del locale consiglio dell'ordine forense, atti
  che   sono   autorevole  elemento  interpretativo  per  individuare
  orientativamente    la    eventuale   giurisprudenza   disciplinare
  dell'organo  consiliare il quale - manifestando ampio sostegno alle
  iniziative adottate dall'associazione promotrice delle astensioni e
  denominata  assemblea  generale  degli  avvocati  di  Latina  -  ha
  mostrato   di   non  ritenere  sussistenti  profili  di  illiceita'
  disciplinare  nelle  condotte  poste  in essere dagli iscritti agli
  albi.
    Si  ribadisce,  comunque,  che la configurabilita' di illeciti di
  tipo  amministrativo,  penale  o  disciplinare,  non  incide  sulla
  questione   che   e'  relativa  solo  alla  mancanza  di  strumenti
  processuali  per  proseguire  il  giudizio ed alla successiva stasi
  procedimentale  destinata  a  protrarsi per periodi sostanzialmente
  indefiniti,  poiche'  nemo  ad  factum  cogi potest nonostante ogni
  ipotetica sanzione all'omissione perpetrata.
    Prima  di  affrontare  il  merito della questione di legittimita'
  costituzionale  delle norme impugnate, si precisa ulteriormente che
  i  comportamenti dedotti consistono nel rifiuto "a catena" da parte
  dei  difensori immediatamente reperibili nello svolgere le funzioni
  di cui all'art. 97, comma 4, del c.p.p.
    Tale  circostanza  si  e'  ripetuta  con  riferimento  a  tutti i
  difensori  immediatamente  e  concretamente reperibili da parte del
  giudice  (facendo  uso di ogni diligenza) e per tutte le udienze di
  rinvio,   costringendo   sostanzialmente   l'organo   giudicante  a
  differire  di  volta  in  volta  la trattazione del giudizio per la
  materiale impossibilita' di procedervi in assenza di disponibilita'
  di  tutti  i  difensori  tenuti  a  svolgere  le  funzioni  di  cui
  all'art. 97,   comma   4,   del   c.p.p.   ad  adempiere  l'ufficio
  conferitogli,  a  causa  della loro manifestata e ribadita adesione
  alla  predetta  astensione  collettiva  dalla  partecipazione  alle
  udienze.
    Tali fatti, inoltre, sono relativi praticamente a tutti i giudizi
  penali pendenti innanzi agli organi giudiziari siti nel circondario
  di  Latina  ed in particolare a tutti i processi assegnati a questo
  giudice.
    In  relazione  al  concetto  di  immediata  reperibilita'  di cui
  all'art. 97, comma 4, del c.p.p., e' evidente che il legislatore ha
  voluto  imporre  l'altrettanto  immediata prosecuzione dell'udienza
  nei casi in cui occorreva la presenza di un difensore e il titolare
  dell'ufficio era assente.
    L'immediata  reperibilita',  percio',  svincola  il  giudice  dai
  criteri  di  scelta,  ulteriormente  restrittivi rispetto alla sola
  iscrizione  ad  un albo degli avvocati, previsti dall'art. 29 disp.
  att.  c.p.p.  poiche'  la  scelta  va ovviamente estesa non solo ai
  reperibili   di  turno  indicati  negli  elenchi  e  nelle  tabelle
  predisposte,   ma   in   tutti   i   difensori   concretamente   ed
  effettivamente reperibili da parte dell'autorita'.
    Il  requisito  dell'immediatezza va interpretato nel senso che le
  ricerche,  dovendo  consentire  la  prosecuzione  dell'udienza, non
  possono essere estese a tutti gll iscritti agli albi degli avvocati
  esercenti  la professione, perche' la scelta deve essere effettuata
  al  momento  tra  i  presenti  (o i raggiungibili con comunicazione
  mediante  cancelleria che possano prontamente essere presenti), non
  potendosi  ritenere che il giudice sia tenuto ad interpellare tutti
  gli avvocati astrattamente nominabili prima di rilevare la concreta
  impossibilita' di immediata prosecuzione dell'udienza.
    Si precisa, peraltro, che praticamente tutti gli iscritti ad albi
  diversi  da  quello  del  locale  ordine  forense di volta in volta
  nominati  ai  sensi dell'art. 97, comma 4, del c.p.p. hanno aderito
  "per  solidarieta'"  all'astensione,  vanificando  in  tal  modo la
  possibilita'   di   ricorrere  ad  apporti  forensi  "esterni"  per
  proseguire i procedimenti.

                       Considerato in diritto

    La  situazione  venutasi  a  creare  e' causata dalla mancanza di
  norme  che  disciplinino  le procedure e misure consequenziali alla
  violazione  dell'art. 2  della  legge  n. 146/1990, come modificato
  dalla    sentenza   n.   171/1996   della   Corte   costituzionale,
  relativamente    ai    casi   in   cui   le   modalita'   attuative
  dell'astensione,  per  l'assoluta  generalita'  delle adesioni e la
  mancanza  di  durata  ragionevole del periodo di durata, rendano di
  fatto  impossibile l'esercizio della giurisdizione anche qualora il
  giudice  respinga  la  richiesta  di rinvio, nomini un sostituto al
  difensore  astenutosi e disponga procedersi oltre senza che cio' si
  verifichi  per  la  successiva  astensione  "a  catena"  di tutti i
  difensori designati.
    Nella  nota  pronuncia citata la Corte costituzionale ritenne che
  l'astensione  degli  avvocati  da  ogni  attivita' defensionale non
  rientrava  compiutamente,  per  la  sua  morfologia, nei meccanismi
  procedurali  previsti dagli artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della legge
  n. 146,  e  lascio'  al  legislatore il compito di definire in modo
  organico  le misure atte a realizzare l'equilibrata tutela dei beni
  coinvolti,  essendole preclusa l'individuazione nel dettaglio delle
  soluzioni.
    Tale  decisione,  peraltro, evidenziava di per se' reiteratamente
  la  necessita'  di  impedire  casi  quali quello oggi sottoposto al
  vaglio del giudice delle leggi, ossia la assoluta impossibilita' di
  trattare  il  dibattimento  per  periodi di tempo di durata tale da
  risultare  ictu  oculi  irragionevoli,  sia  se  raffrontati  con i
  periodi di astensione dalle prestazioni lavorative in altri settori
  dei  servizi  pubblici  essenziali (quali la sanita', la protezione
  civile,  l'ordine  e la sicurezza e i trasporti), sia se paragonati
  alla  durata  media  di  astensioni dall'attivita' lavorativa nello
  specifico  settore  della  giustizia,  come  per  gli  scioperi del
  personale  amministrativo  giudiziario (che non risulta abbiano mai
  avuto durate eccedenti la settimana).
    Non  e'  necessario  profondersi  in particolari osservazioni per
  giustificare  l'asserzione  che la paralisi determinata costituisce
  una  forma sostanziale di diniego di giustizia e aggrava i problemi
  che  vorrebbe  risolvere (ossia l'eccessiva durata dei procedimenti
  per  la  mancanza dei magistrati asseritamente reputati necessari),
  divenendo  essa  stessa  ulteriore motivo di allungamento dei tempi
  ordinari  alla  trattazione  dei procedimenti, perche' nel presente
  giudizio  tutti  i  rinvii  del  dibattimento (salvo il primo) sono
  stati  determinati  esclusivamente  dall'astensione  dei  difensori
  dalle udienze.
    La  causa determinante del blocco dell'attivita' giudiziaria, per
  le modalita' attuative dell'astensione, va individuata nell'obbligo
  per il giudice di nominare quale sostituto del difensore di udienza
  esclusivamente  un  iscritto agli albi professionali degli avvocati
  anziche'  una  persona avente titolo all'iscrizione, anche nei casi
  in  cui  sia  materialmente impossibile di avvalersi di un iscritto
  agli  albi  per  l'adesione di tutti i soggetti reperiti (anche con
  diligenti  e  prolungate  ricerche),  inclusi  gli iscritti ad albi
  professionali    diversi    da   quello   locale   che   aderiscono
  all'astensione  per  solidarieta'  e  non  prendono  parte comunque
  all'attivita' processuale.
    Per   i   predetti   motivi   la  rilevanza  della  questione  di
  legittimita'  costituzionale  delle  norme  che  si indicheranno e'
  evidente,   non   potendosi  procedere  per  un  periodo  di  tempo
  potenzialmente  illimitato  al  giudizio  in  assenza di difensore,
  poiche' l'astensione e' stata piu' volte prorogata (il 18 settembre
  ed  il  27  novembre 1999) ed e' suscettibile di ulteriori proroghe
  legate  essenzialmente  allo  stato dell'organico dei magistrati di
  questo   tribunale,   ritenuto   comunque   insufficiente,  con  la
  conseguenza  che  anche  provvedimenti  di  totale  copertura della
  pianta   organica  potrebbero  essere  non  ritenuti  idonei  dagli
  avvocati per revocare o non prorogare l'agitazione proclamata.
    La  rilevanza  della  questione  va ribadita con riferimento alla
  materiale  ed  assoluta  impossibilita'  di  trattare  il  giudizio
  nonostante  l'applicazione  delle norme che prevedono la nomina del
  sostituto del difensore astenutosi dal partecipare all'udienza, per
  la  totale  adesione  di  tutti  gli interpellati reperiti con ogni
  possibile  sforzo organizzativo, nonche' per il reiterarsi di detta
  situazione   con  riferimento  a  tutte  le  udienze  trattate  (la
  circostanza  e'  comune praticamente a tutti gli altri procedimenti
  pendenti  innanzi  all'ufficio  sui quali si provvede separatamente
  per  non trasferire l'integrale carico di lavoro del tribunale alla
  Corte costituzionale).
    Il disposto degli artt. 97 e del 484 del c.p.p. in relazione agli
  artt. 1 e 26 del r.d.-l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con
  modificazioni,  nella  legge  22  gennaio 1934, n. 36, presenta sul
  punto   profili  di  illegittimita'  costituzionale  che  non  sono
  manifestamenmte  infondati  in  relazione  alla  parte  in  cui non
  consentono  la  nomina  degli aventi titolo all'iscrizione all'albo
  degli  avvocati,  anche se non effettivamente iscritti, a sostituto
  del  difensore  che  non  partecipi  al  dibattimento  sebbene  non
  legittimamente impedito, qualora tutti gli iscritti agli albi degli
  avvocati immediatamente reperibili rifiutino senza legittimo motivo
  di  assumere  e  svolgere le funzioni di sostituto del difesore che
  non partecipi al dibattimento sebbene non legittimamente impedito.
    Il  primo  profilo di illegittimita' costituzionale che si deduce
  e'  la  violazione  degli  artt. 3, 10 e 24 della Costituzione come
  interpretati  dalla  costante  giurisprudenza della Corte, ossia la
  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza,  di adeguamento alle
  norme  internazionali  e  del  rispetto  del  diritto  di  agire  e
  difendersi   in   un  giudizio  dalla  ragionevole  durata  che  il
  legislatore  e'  tenuto  a  osservare  comunque nel disciplinare le
  materie  nelle  quali  interviene,  anche quando l'irragionevolezza
  delle   norme   derivi   dalla   prolungata  inerzia  dello  stesso
  legislatore  che, nel caso di specie, ad oltre tre anni di distanza
  dalla  citata  sentenza  n. 171/1996 della Corte costituzionale, ha
  omesso ogni intervento nella materia relativa alla disciplina delle
  procedure  e  le misure consequenziali nell'ipotesi di inosservanza
  degli  obblighi  di  cui  all'art. 2  della legge n. 146/1990, come
  modificato dalla detta sentenza.
     La questione, peraltro, non e' relativa agli artt. 8, 9, 10, 12,
  13  e  14 della legge n. 146/1990 sui quali la Corte costituzionale
  ha  gia' dichiarato di non potere intervenire, perche' nel processo
  penale  le  norme  che devono garantire l'osservanza degli obblighi
  predetti  sono diverse, ossia necessariamente quelle processuali ed
  ordinamentali  che  regolano  la  partecipazione del difensore alle
  udienze  e disciplinano i requisiti per la scelta e nomina da parte
  dell'ufficio  del  difensore  nei casi in cui ne e' obbligatoria la
  presenza.
    Il  giudice ritiene che, in linea di principio ed anche alla luce
  dell'imminente formale recepimento nell'art. 111 della Costituzione
  dei   principi   del   c.d.   "giusto   processo"   (peraltro  gia'
  costituzionalizzati  attraverso  l'art. 10  della  Costituzione  in
  relazione   all'art. 6   della   Convenzione  europea  dei  diritti
  dell'uomo  -  ratificata  con  legge  4 agosto 1955, n. 848 - i cui
  principi  erano inoltre implicitamente contenuti nell'art. 24 della
  Costituzione),  non  sia  ragionevole  di  per se', ne' conforme ai
  principi  del  processo  accusatorio,  l'obbligo della presenza del
  difensore  alle  udienze  dibattimentali  nei casi in cui l'assenza
  derivi  dalla  volontaria  scelta  di  tutti  gli appartenenti alla
  classe forense di non adempiere il loro ufficio.
    Cio' che la legge deve riconoscere e' l'effettiva possibilita' di
  difendersi  in  giudizio, il che non necessariamente presuppone che
  l'unico  strumento sia l'obbligatoria presenza del difensore (anche
  nel  nostro  ordinamento,  peraltro,  nei  delicati procedimenti de
  libertate come quello di cui all'art. 309 del c.p.p. e nello stesso
  dibattimento  pubblico  davanti alla Corte suprema di cassazione la
  presenza del difensore e' facoltativa).
    Anche  a  ritenere,  tuttavia,  che la presenza del difensore nel
  dibattimento di merito sia ancora scelta costituzionalmente imposta
  si   avverte  con  impellenza  ancora  maggiore  la  necessita'  di
  disciplinare  i  casi  di  vero  e  proprio abuso del diritto (gia'
  espressamente    menzionato   dall'art.   17   della   predetta   e
  costituzionalizzata  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,
  nonche'  implicitamente  riconosciuto  come  illecito  dalla stessa
  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  22 ottobre 1996, n. 353),
  quali  quelli  in cui l'ordine forense interpreti gli artt. 18 e 21
  della  Costituzione  come contenenti il diritto di dedicarsi ad una
  attivita'  -  astensione  collettiva  dalle udienze - con modalita'
  tali   da   comportare  la  sospensione  dei  diritti  riconosciuti
  dall'art. 24  della  Costituzione o una limitazione di tali diritti
  maggiore di quella prevista.
    Non  e'  ragionevole,  percio',  che  il  legislatore  da un lato
  imponga  la  presenza come difensore necessariamente di un iscritto
  agli  albi degli avvocati e dall'altro non preveda alcuno strumento
  normativo  processuale  e ordinamentale per risolvere i casi in cui
  tutti  i  legittimati  materialmente  reperibili per lo svolgimento
  dell'attivita'  difensiva  necessitata  si  rifiutino  di  svolgere
  l'ufficio    difensivo   conferito,   adducendo   di   aderire   ad
  un'astensione  collettiva  dalle  udienze  che  si sostanzia in una
  forma di abuso del diritto.
    L'irrazionalita'  va  ravvisata in particolare negli artt. 1 e 26
  del   r.d.-l.   27   novembre   1933,   n. 1578,   convertito,  con
  modificazioni,  nella  legge  22  gennaio 1934, n. 36, e successive
  modificazioni  nella  parte  in  cui impongono anche nei casi quali
  quello  in  esame  di  nominare  il  difensore scegliendolo tra gli
  iscritti  agli  albi  degli avvocati anziche' tra gli aventi titolo
  all'iscrizione,   non   consentendo   di   derogare   al  requisito
  dell'effettiva  iscrizione anche nei casi in cui sussistano tutti i
  requisiti  per  l'esercizio  dell'attivita' difensiva con eccezione
  della sola mera formale iscrizione all'albo professionale.
    Si  precisa,  inoltre,  che  l'irrazionalita'  normativa consiste
  proprio  nell'omessa  previsione di circostanze che possono imporre
  il  ricorso  alle  funzioni degli aventi titolo all'iscrizione agli
  albi  per  tutelare  il  rispetto  di  diritti  che la stessa Corte
  costituzionale  ha  definito  prevalenti  rispetto  a  quelli fatti
  valere  con  l'astensione  collettiva  dalle  udienze  nella citata
  sentenza  n.  171/1996 e che cio' e' ulteriormente dimostrato dalla
  natura  esclusivamente  ricognitiva della sussistenza dei requisiti
  necessari   per   l'iscrizione   all'albo   da   parte  dell'organo
  amministrativo che provvede a tale adempimento.
    La  verifica  delle condizioni legittimanti l'iscrizione all'albo
  puo',  quindi,  essere  eseguita  anche  dall'autorita' giudiziaria
  procedente  nei  casi in cui sia necessario garantire all'imputato,
  ai  limitati  fini  di  cui  all'art.  97,  comma 4, del c.p.p., un
  difensore  scegliendolo  tra i soggetti che la stessa legge prevede
  come   tecnicamente   qualificati   per   svolgere   tale   compito
  nell'impossibilita'  di  reperire  altri  soggetti  idonei, poiche'
  l'unica  differenza tra l'iscritto e l'avente titolo all'iscrizione
  non  sta  nei  requisiti  di  competenza  ma  nel solo dato formale
  dell'iscrizione  (salve  ovviamente le incompatibilita' processuali
  ed ordinamentali relative ai singoli procedimenti).
    Si precisa che l'art. 26 della legge n. 36/1934, prevede un ampio
  numero   di   soggetti  in  possesso  di  qualificata  preparazione
  giuridica  (avvocati  dello  Stato,  magistrati ordinari, militari,
  amministrativi,  professori  universitari  di  diritto,  magistrati
  onorari)  tra  i  quali  operare  la scelta, con la conseguenza che
  sarebbe  garantita  la  possibilita'  di evitare la paralisi totale
  dell'ufficio  giudiziario  anche  qualora,  come nel caso in esame,
  tutti   gli   iscritti   agli  albi  effettivamente  interpellabili
  aderiscano all'astensione.
    Peraltro il profilo del mancato adeguamento ai trattati e' ancora
  piu'  evidente  ove  si  consideri  che gli artt. 59 e seguenti del
  Trattato  CEE  e  l'art. 4,  comma  1  della  direttiva  77/249/CEE
  escludono espressamente l'iscrizione ad un albo quale requisito per
  l'esercizio della professione legale.
    Altro  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  del combinato
  disposto  delle  norme  denunciate  attiene  alla  violazione degli
  artt. 76  e  77 della Costituzione per violazione dell'art. 2 della
  direttiva  n.  105)  da  parte  del  legislatore delegato che nella
  disciplina  degli artt. 97 e 484 del c.p.p. non ha previsto criteri
  che  garantiscano  l'effettivita' della difesa di ufficio, sotto il
  profilo  della  necessita'  di  impedire  una stasi processuale per
  l'impossibilita'  di  reperire  sostituti  di ufficio del difensore
  astenuto,  imponendone  la  scelta  esclusivamente  tra  i soggetti
  iscritti negli appositi albi e tabelle.
    Parimenti  violata  e' la prima direttiva dell'art. 2 della legge
  delegata  citata  nella parte in cui il legislatore delegato non ha
  adeguato   al   principio   di  cui  all'art. 17  della  menzionata
  Convenzione   europea   dei   diritti  dell'uomo  l'istituto  della
  sostituzione  del difensore che abusi del diritto di associazione e
  manifestazione del pensiero comprimendo il diritto alla ragionevole
  durata  del  processo, poiche' ha imposto di scegliere in ogni caso
  il  sostituto  tra  un  iscritto  agli  albi  anziche' in un avente
  titolo,  come  sopra  precisato,  cioe'  all'interno  della  stessa
  organizzazione che da causa all'abuso del diritto.
    Risultano  violati  gli  artt. 2, n. 104 e 6 della legge delegata
  citata  nella  parte  in cui il legislatore delegato, disciplinando
  l'istituto  della  sostituzione  del difensore che non prenda parte
  all'udienza  ha  omesso  di  prevedere  forme  di  sostituzione che
  prescindano  dall'effettiva  iscrizione  agli  albi, non adeguando,
  percio',  il  contenuto  degli  artt. 97  e  105  a quanto previsto
  dall'art. 38  della legge n. 36/1934 che, richiamando espressamente
  gli   artt.  130,  131  e  132  del  c.p.p.  previgente  nel  testo
  originario,  consentiva  -  tra  l'altro - il ricorso alla nomina a
  sostituti   del   difensore   che   non   partecipava   all'udienza
  individuando  anche  alcune  categorie  di magistrati onorari tra i
  designabili all'ufficio di sostituto.
    Il  citato  art.  38  ord.  for.  -  tuttora  vigente  - fa salve
  espressamente  le menzionate disposizioni del c.p.p. previgente nel
  loro  testo  originario,  ma  il  legislatore  delegato ha eluso la
  delega  che  gli  imponeva  di  adeguare  gli  istituti processuali
  preesistenti,  poiche'  a  fronte di un processo che (almeno per il
  rito  pretorile) non conosceva stasi determinate da fattori esterni
  agli   organi   giurisdizionali,   ha  diciplinato  un  modello  di
  procedimento  che  non  puo' proseguire per periodi indeterminati a
  causa  dell'assenza  di previsione di strumenti alternativi in casi
  quali quello in esame.
    Le norme impugnate, peraltro, contrastano anche con gli artt. 101
  e   112   della   Costituzione   poiche'  assoggettano  il  giudice
  nell'esercizio  della  giurisdizione  alle  scelte  determinate non
  dalla   legge  ma  da  fattori  contingenti  e  da  organi  esterni
  all'amministrazione  della  giustizia  e  paralizzano  - di fatto -
  l'esercizio dell'azione penale.