IL TRIBUNALE Letti gli atti del proc. n. R.G.P. a carico di Rotondi Patrizia, imp. del reato p. e p. dall'art. 20 della legge n. 47/1985; Udite le parti; Ritenuto in fatto Il presente procedimento ha subito piu' rinvii a causa dell'astensione collettiva dei difensori dalle udienze che (preceduta da altra indetta per il mese di maggio 1999) si protrae ininterrottamente dal luglio 1999 ed e' destinata a durare - salvo proroghe - fino al 10 marzo 2000. Lo stato di agitazione, determinato dalla mancata copertura integrale dei magistrati di questo tribunale e comunque dall'insufficienza dell'organico astrattamente previsto, e' stato invocato dal difensore dell'imputato reiteratamente come legittimo motivo di impedimento a partecipare al dibattimento e comunque come causa di rinvio del giudizio. A seguito di rigetto delle richieste da parte del giudice per i motivi indicati nelle ordinanze dibattimentali in atti, ed in particolare per la palese irragionevolezza della durata dell'astensione proclamata (oltre nove mesi, allo stato) il difensore ha ribadito la propria volonta' di non partecipare al dibattimento e tutti i sostituti immediatamente reperibili nominati ai sensi dell'art. 97, comma 4, del c.p.p. (cfr. elenco) hanno dichiarato anche essi di aderire all'astensione rifiutandosi di svolgere la funzione attribuitagli, nonostante l'evidente prossimita' del termine prescrizionale. Si premette che profili sanzionatori delle condotte tenute collettivamente dagli appartenenti al foro esulano da quanto si rileva nel presente provvedimento, poiche' la configurazione di illeciti disciplinari o penali non sposta i termini della questione, che e' relativa esclusivamente agli strumenti processuali da adottare per consentire la celebrazione del giudizio, prescindendo da profili di illeceita' del comportamento dei difensori. Sotto tale profilo, peraltro, da un lato la stessa Corte costituzionale nella nota sent. n. 171/96 escludeva la configurabilita' degli illeciti amministrativi previsti dalla legge, e dall'altro la giurisprudenza di questo ufficio escludeva la sussistenza di illeciti penali (ossia della fattispecie di cui all'art. 340 del c.p.), disponendo l'archiviazione dei procedimenti iniziati in fattispecie pregresse ed analoghe, nelle quali la condotta dei difensori non si limitava ad una mera adesione all'astensione ma si sostanziava in un persistente rifiuto di svolgere le funzioni di cui agli artt. 97, comma 4 e 486 del c.p.p. a seguito di ordinanza del giudice che respingeva la richiesta di rinvio per legittimo impedimento. Nemmeno, inoltre, sarebbero ravvisabili illeciti disciplinari ai sensi degli artt. 105 del c.p.p. e 38 della legge n. 36/1934, come si puo' desumere dai verbali delle sedute del 20 luglio 1999 e del 21 settembre 1999 del locale consiglio dell'ordine forense, atti che sono autorevole elemento interpretativo per individuare orientativamente la eventuale giurisprudenza disciplinare dell'organo consiliare il quale - manifestando ampio sostegno alle iniziative adottate dall'associazione promotrice delle astensioni e denominata assemblea generale degli avvocati di Latina - ha mostrato di non ritenere sussistenti profili di illiceita' disciplinare nelle condotte poste in essere dagli iscritti agli albi. Si ribadisce, comunque, che la configurabilita' di illeciti di tipo amministrativo, penale o disciplinare, non incide sulla questione che e' relativa solo alla mancanza di strumenti processuali per proseguire il giudizio ed alla successiva stasi procedimentale destinata a protrarsi per periodi sostanzialmente indefiniti, poiche' nemo ad factum cogi potest nonostante ogni ipotetica sanzione all'omissione perpetrata. Prima di affrontare il merito della questione di legittimita' costituzionale delle norme impugnate, si precisa ulteriormente che i comportamenti dedotti consistono nel rifiuto "a catena" da parte dei difensori immediatamente reperibili nello svolgere le funzioni di cui all'art. 97, comma 4, del c.p.p. Tale circostanza si e' ripetuta con riferimento a tutti i difensori immediatamente e concretamente reperibili da parte del giudice (facendo uso di ogni diligenza) e per tutte le udienze di rinvio, costringendo sostanzialmente l'organo giudicante a differire di volta in volta la trattazione del giudizio per la materiale impossibilita' di procedervi in assenza di disponibilita' di tutti i difensori tenuti a svolgere le funzioni di cui all'art. 97, comma 4, del c.p.p. ad adempiere l'ufficio conferitogli, a causa della loro manifestata e ribadita adesione alla predetta astensione collettiva dalla partecipazione alle udienze. Tali fatti, inoltre, sono relativi praticamente a tutti i giudizi penali pendenti innanzi agli organi giudiziari siti nel circondario di Latina ed in particolare a tutti i processi assegnati a questo giudice. In relazione al concetto di immediata reperibilita' di cui all'art. 97, comma 4, del c.p.p., e' evidente che il legislatore ha voluto imporre l'altrettanto immediata prosecuzione dell'udienza nei casi in cui occorreva la presenza di un difensore e il titolare dell'ufficio era assente. L'immediata reperibilita', percio', svincola il giudice dai criteri di scelta, ulteriormente restrittivi rispetto alla sola iscrizione ad un albo degli avvocati, previsti dall'art. 29 disp. att. c.p.p. poiche' la scelta va ovviamente estesa non solo ai reperibili di turno indicati negli elenchi e nelle tabelle predisposte, ma in tutti i difensori concretamente ed effettivamente reperibili da parte dell'autorita'. Il requisito dell'immediatezza va interpretato nel senso che le ricerche, dovendo consentire la prosecuzione dell'udienza, non possono essere estese a tutti gll iscritti agli albi degli avvocati esercenti la professione, perche' la scelta deve essere effettuata al momento tra i presenti (o i raggiungibili con comunicazione mediante cancelleria che possano prontamente essere presenti), non potendosi ritenere che il giudice sia tenuto ad interpellare tutti gli avvocati astrattamente nominabili prima di rilevare la concreta impossibilita' di immediata prosecuzione dell'udienza. Si precisa, peraltro, che praticamente tutti gli iscritti ad albi diversi da quello del locale ordine forense di volta in volta nominati ai sensi dell'art. 97, comma 4, del c.p.p. hanno aderito "per solidarieta'" all'astensione, vanificando in tal modo la possibilita' di ricorrere ad apporti forensi "esterni" per proseguire i procedimenti. Considerato in diritto La situazione venutasi a creare e' causata dalla mancanza di norme che disciplinino le procedure e misure consequenziali alla violazione dell'art. 2 della legge n. 146/1990, come modificato dalla sentenza n. 171/1996 della Corte costituzionale, relativamente ai casi in cui le modalita' attuative dell'astensione, per l'assoluta generalita' delle adesioni e la mancanza di durata ragionevole del periodo di durata, rendano di fatto impossibile l'esercizio della giurisdizione anche qualora il giudice respinga la richiesta di rinvio, nomini un sostituto al difensore astenutosi e disponga procedersi oltre senza che cio' si verifichi per la successiva astensione "a catena" di tutti i difensori designati. Nella nota pronuncia citata la Corte costituzionale ritenne che l'astensione degli avvocati da ogni attivita' defensionale non rientrava compiutamente, per la sua morfologia, nei meccanismi procedurali previsti dagli artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della legge n. 146, e lascio' al legislatore il compito di definire in modo organico le misure atte a realizzare l'equilibrata tutela dei beni coinvolti, essendole preclusa l'individuazione nel dettaglio delle soluzioni. Tale decisione, peraltro, evidenziava di per se' reiteratamente la necessita' di impedire casi quali quello oggi sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, ossia la assoluta impossibilita' di trattare il dibattimento per periodi di tempo di durata tale da risultare ictu oculi irragionevoli, sia se raffrontati con i periodi di astensione dalle prestazioni lavorative in altri settori dei servizi pubblici essenziali (quali la sanita', la protezione civile, l'ordine e la sicurezza e i trasporti), sia se paragonati alla durata media di astensioni dall'attivita' lavorativa nello specifico settore della giustizia, come per gli scioperi del personale amministrativo giudiziario (che non risulta abbiano mai avuto durate eccedenti la settimana). Non e' necessario profondersi in particolari osservazioni per giustificare l'asserzione che la paralisi determinata costituisce una forma sostanziale di diniego di giustizia e aggrava i problemi che vorrebbe risolvere (ossia l'eccessiva durata dei procedimenti per la mancanza dei magistrati asseritamente reputati necessari), divenendo essa stessa ulteriore motivo di allungamento dei tempi ordinari alla trattazione dei procedimenti, perche' nel presente giudizio tutti i rinvii del dibattimento (salvo il primo) sono stati determinati esclusivamente dall'astensione dei difensori dalle udienze. La causa determinante del blocco dell'attivita' giudiziaria, per le modalita' attuative dell'astensione, va individuata nell'obbligo per il giudice di nominare quale sostituto del difensore di udienza esclusivamente un iscritto agli albi professionali degli avvocati anziche' una persona avente titolo all'iscrizione, anche nei casi in cui sia materialmente impossibile di avvalersi di un iscritto agli albi per l'adesione di tutti i soggetti reperiti (anche con diligenti e prolungate ricerche), inclusi gli iscritti ad albi professionali diversi da quello locale che aderiscono all'astensione per solidarieta' e non prendono parte comunque all'attivita' processuale. Per i predetti motivi la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale delle norme che si indicheranno e' evidente, non potendosi procedere per un periodo di tempo potenzialmente illimitato al giudizio in assenza di difensore, poiche' l'astensione e' stata piu' volte prorogata (il 18 settembre ed il 27 novembre 1999) ed e' suscettibile di ulteriori proroghe legate essenzialmente allo stato dell'organico dei magistrati di questo tribunale, ritenuto comunque insufficiente, con la conseguenza che anche provvedimenti di totale copertura della pianta organica potrebbero essere non ritenuti idonei dagli avvocati per revocare o non prorogare l'agitazione proclamata. La rilevanza della questione va ribadita con riferimento alla materiale ed assoluta impossibilita' di trattare il giudizio nonostante l'applicazione delle norme che prevedono la nomina del sostituto del difensore astenutosi dal partecipare all'udienza, per la totale adesione di tutti gli interpellati reperiti con ogni possibile sforzo organizzativo, nonche' per il reiterarsi di detta situazione con riferimento a tutte le udienze trattate (la circostanza e' comune praticamente a tutti gli altri procedimenti pendenti innanzi all'ufficio sui quali si provvede separatamente per non trasferire l'integrale carico di lavoro del tribunale alla Corte costituzionale). Il disposto degli artt. 97 e del 484 del c.p.p. in relazione agli artt. 1 e 26 del r.d.-l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, presenta sul punto profili di illegittimita' costituzionale che non sono manifestamenmte infondati in relazione alla parte in cui non consentono la nomina degli aventi titolo all'iscrizione all'albo degli avvocati, anche se non effettivamente iscritti, a sostituto del difensore che non partecipi al dibattimento sebbene non legittimamente impedito, qualora tutti gli iscritti agli albi degli avvocati immediatamente reperibili rifiutino senza legittimo motivo di assumere e svolgere le funzioni di sostituto del difesore che non partecipi al dibattimento sebbene non legittimamente impedito. Il primo profilo di illegittimita' costituzionale che si deduce e' la violazione degli artt. 3, 10 e 24 della Costituzione come interpretati dalla costante giurisprudenza della Corte, ossia la violazione dei principi di ragionevolezza, di adeguamento alle norme internazionali e del rispetto del diritto di agire e difendersi in un giudizio dalla ragionevole durata che il legislatore e' tenuto a osservare comunque nel disciplinare le materie nelle quali interviene, anche quando l'irragionevolezza delle norme derivi dalla prolungata inerzia dello stesso legislatore che, nel caso di specie, ad oltre tre anni di distanza dalla citata sentenza n. 171/1996 della Corte costituzionale, ha omesso ogni intervento nella materia relativa alla disciplina delle procedure e le misure consequenziali nell'ipotesi di inosservanza degli obblighi di cui all'art. 2 della legge n. 146/1990, come modificato dalla detta sentenza. La questione, peraltro, non e' relativa agli artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della legge n. 146/1990 sui quali la Corte costituzionale ha gia' dichiarato di non potere intervenire, perche' nel processo penale le norme che devono garantire l'osservanza degli obblighi predetti sono diverse, ossia necessariamente quelle processuali ed ordinamentali che regolano la partecipazione del difensore alle udienze e disciplinano i requisiti per la scelta e nomina da parte dell'ufficio del difensore nei casi in cui ne e' obbligatoria la presenza. Il giudice ritiene che, in linea di principio ed anche alla luce dell'imminente formale recepimento nell'art. 111 della Costituzione dei principi del c.d. "giusto processo" (peraltro gia' costituzionalizzati attraverso l'art. 10 della Costituzione in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848 - i cui principi erano inoltre implicitamente contenuti nell'art. 24 della Costituzione), non sia ragionevole di per se', ne' conforme ai principi del processo accusatorio, l'obbligo della presenza del difensore alle udienze dibattimentali nei casi in cui l'assenza derivi dalla volontaria scelta di tutti gli appartenenti alla classe forense di non adempiere il loro ufficio. Cio' che la legge deve riconoscere e' l'effettiva possibilita' di difendersi in giudizio, il che non necessariamente presuppone che l'unico strumento sia l'obbligatoria presenza del difensore (anche nel nostro ordinamento, peraltro, nei delicati procedimenti de libertate come quello di cui all'art. 309 del c.p.p. e nello stesso dibattimento pubblico davanti alla Corte suprema di cassazione la presenza del difensore e' facoltativa). Anche a ritenere, tuttavia, che la presenza del difensore nel dibattimento di merito sia ancora scelta costituzionalmente imposta si avverte con impellenza ancora maggiore la necessita' di disciplinare i casi di vero e proprio abuso del diritto (gia' espressamente menzionato dall'art. 17 della predetta e costituzionalizzata Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonche' implicitamente riconosciuto come illecito dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 22 ottobre 1996, n. 353), quali quelli in cui l'ordine forense interpreti gli artt. 18 e 21 della Costituzione come contenenti il diritto di dedicarsi ad una attivita' - astensione collettiva dalle udienze - con modalita' tali da comportare la sospensione dei diritti riconosciuti dall'art. 24 della Costituzione o una limitazione di tali diritti maggiore di quella prevista. Non e' ragionevole, percio', che il legislatore da un lato imponga la presenza come difensore necessariamente di un iscritto agli albi degli avvocati e dall'altro non preveda alcuno strumento normativo processuale e ordinamentale per risolvere i casi in cui tutti i legittimati materialmente reperibili per lo svolgimento dell'attivita' difensiva necessitata si rifiutino di svolgere l'ufficio difensivo conferito, adducendo di aderire ad un'astensione collettiva dalle udienze che si sostanzia in una forma di abuso del diritto. L'irrazionalita' va ravvisata in particolare negli artt. 1 e 26 del r.d.-l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni nella parte in cui impongono anche nei casi quali quello in esame di nominare il difensore scegliendolo tra gli iscritti agli albi degli avvocati anziche' tra gli aventi titolo all'iscrizione, non consentendo di derogare al requisito dell'effettiva iscrizione anche nei casi in cui sussistano tutti i requisiti per l'esercizio dell'attivita' difensiva con eccezione della sola mera formale iscrizione all'albo professionale. Si precisa, inoltre, che l'irrazionalita' normativa consiste proprio nell'omessa previsione di circostanze che possono imporre il ricorso alle funzioni degli aventi titolo all'iscrizione agli albi per tutelare il rispetto di diritti che la stessa Corte costituzionale ha definito prevalenti rispetto a quelli fatti valere con l'astensione collettiva dalle udienze nella citata sentenza n. 171/1996 e che cio' e' ulteriormente dimostrato dalla natura esclusivamente ricognitiva della sussistenza dei requisiti necessari per l'iscrizione all'albo da parte dell'organo amministrativo che provvede a tale adempimento. La verifica delle condizioni legittimanti l'iscrizione all'albo puo', quindi, essere eseguita anche dall'autorita' giudiziaria procedente nei casi in cui sia necessario garantire all'imputato, ai limitati fini di cui all'art. 97, comma 4, del c.p.p., un difensore scegliendolo tra i soggetti che la stessa legge prevede come tecnicamente qualificati per svolgere tale compito nell'impossibilita' di reperire altri soggetti idonei, poiche' l'unica differenza tra l'iscritto e l'avente titolo all'iscrizione non sta nei requisiti di competenza ma nel solo dato formale dell'iscrizione (salve ovviamente le incompatibilita' processuali ed ordinamentali relative ai singoli procedimenti). Si precisa che l'art. 26 della legge n. 36/1934, prevede un ampio numero di soggetti in possesso di qualificata preparazione giuridica (avvocati dello Stato, magistrati ordinari, militari, amministrativi, professori universitari di diritto, magistrati onorari) tra i quali operare la scelta, con la conseguenza che sarebbe garantita la possibilita' di evitare la paralisi totale dell'ufficio giudiziario anche qualora, come nel caso in esame, tutti gli iscritti agli albi effettivamente interpellabili aderiscano all'astensione. Peraltro il profilo del mancato adeguamento ai trattati e' ancora piu' evidente ove si consideri che gli artt. 59 e seguenti del Trattato CEE e l'art. 4, comma 1 della direttiva 77/249/CEE escludono espressamente l'iscrizione ad un albo quale requisito per l'esercizio della professione legale. Altro profilo di illegittimita' costituzionale del combinato disposto delle norme denunciate attiene alla violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione per violazione dell'art. 2 della direttiva n. 105) da parte del legislatore delegato che nella disciplina degli artt. 97 e 484 del c.p.p. non ha previsto criteri che garantiscano l'effettivita' della difesa di ufficio, sotto il profilo della necessita' di impedire una stasi processuale per l'impossibilita' di reperire sostituti di ufficio del difensore astenuto, imponendone la scelta esclusivamente tra i soggetti iscritti negli appositi albi e tabelle. Parimenti violata e' la prima direttiva dell'art. 2 della legge delegata citata nella parte in cui il legislatore delegato non ha adeguato al principio di cui all'art. 17 della menzionata Convenzione europea dei diritti dell'uomo l'istituto della sostituzione del difensore che abusi del diritto di associazione e manifestazione del pensiero comprimendo il diritto alla ragionevole durata del processo, poiche' ha imposto di scegliere in ogni caso il sostituto tra un iscritto agli albi anziche' in un avente titolo, come sopra precisato, cioe' all'interno della stessa organizzazione che da causa all'abuso del diritto. Risultano violati gli artt. 2, n. 104 e 6 della legge delegata citata nella parte in cui il legislatore delegato, disciplinando l'istituto della sostituzione del difensore che non prenda parte all'udienza ha omesso di prevedere forme di sostituzione che prescindano dall'effettiva iscrizione agli albi, non adeguando, percio', il contenuto degli artt. 97 e 105 a quanto previsto dall'art. 38 della legge n. 36/1934 che, richiamando espressamente gli artt. 130, 131 e 132 del c.p.p. previgente nel testo originario, consentiva - tra l'altro - il ricorso alla nomina a sostituti del difensore che non partecipava all'udienza individuando anche alcune categorie di magistrati onorari tra i designabili all'ufficio di sostituto. Il citato art. 38 ord. for. - tuttora vigente - fa salve espressamente le menzionate disposizioni del c.p.p. previgente nel loro testo originario, ma il legislatore delegato ha eluso la delega che gli imponeva di adeguare gli istituti processuali preesistenti, poiche' a fronte di un processo che (almeno per il rito pretorile) non conosceva stasi determinate da fattori esterni agli organi giurisdizionali, ha diciplinato un modello di procedimento che non puo' proseguire per periodi indeterminati a causa dell'assenza di previsione di strumenti alternativi in casi quali quello in esame. Le norme impugnate, peraltro, contrastano anche con gli artt. 101 e 112 della Costituzione poiche' assoggettano il giudice nell'esercizio della giurisdizione alle scelte determinate non dalla legge ma da fattori contingenti e da organi esterni all'amministrazione della giustizia e paralizzano - di fatto - l'esercizio dell'azione penale.